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Alipašino e Mojmilo

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Pancirka Zgrada

Nei pressi di Mojmilo. Uno dei palazzi-bersaglio più famosi della città.

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Un piccolo calibro partito dalle colline di fronte

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La facciata di un palazzo, crivellata da proiettili

Bulevard

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Le rovine del palazzo Oslobodjenije. Lo storico quotidiano di Sarajevo durante l’assedio non ha mancato un’edizione. I giornalisti vivevano barricati nelle sue viscere. Vi era un progetto di mantenere tali le sue rovine, a futuro monito, incapsulando ciò che restava della struttura con una campana di vetro. Invece purtroppo oggi al suo posto sorge l’Avaz Business Center.

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Le rovine del palazzo Oslobodjenije. viste dal Bulevard.
In primo piano i binari della linea tramviaria

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I grattacieli di Alipašino. Il quartiere prende il nome da Hadim (eunuco) Ali-Pascià, governatore della Bosnia e di Budapest nel XV secolo

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Effigie di Tito al portone di un palazzo. La Bosnia era assai devota al vecchio Maresciallo che nella Costituzione del 1974 riconobbe ai Musulmani lo "status di nazionalità" elevandoli di fatto al nobile rango di Popolo Costituente della Jugoslavia. La loro riconoscenza si mantenne intatta nel tempo ed infatti durante le manifestazioni d'Aprile, a dodici anni dalla sua morte, si potevano vedere numerosi ritratti di Tito portati in corteo con i dimostranti che scandivano insistentemente il suo nome.

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Il Palazzo Radio TV alla periferia ovest della città tra Alipašino ed Otoka, Tra i pochi edifici usciti intatti dall’assedio grazie alla sua essenziale linea architettonica. Un parallelepipedo di cemento armato

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Fermata Dom Zdravlja-Kumrovec. Sarajevo è stata tra le prime, se non la prima città Europea in assoluto a disporre di una linea tramviaria. Fu inaugurata il giorno di capodanno del 1885. Oltre alle 7 linee tramviarie ve ne sono 4 di filobus e 9 di autobus

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Lungo il Bulevard, verso il centro. Prima dell’assedio tutta la grande arteria, lunga oltre 8km, aveva nome Maršala Tita (Via del Maresciallo Tito). Oggi è ribattezzata Meše Selimovića nel primo tratto; Smaja od Bosne in quello centrale mentre il vecchio Maresciallo è ricordato nell’ultimo tratto a ridosso della città vecchia. A sinistra abbiamo Cengic Vila, più avanti Otoka e Dolac Malta.

 

 Meše Selimović è uno tra i piu famosi scrittori Jugoslavi; la sua opera più conosciuta è Il Derviscio e la Morte. Smaja od Bosne (Drago della Bosnia) era lo pseudonimo di un nobile condottiero bosniaco Husein Kapétan Gradaščević che guidò una ribellione contro i turchi. Il nome venne scelto anche da una brigata d’elitè dell’Esercito Bosniaco (BH Armija).



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L’incrocio di Cengić Vila. Alì Cengic Pascià nel XVII secolo conquistò la Dalmazia ed arrivò a minacciare anche la stessa Venezia.

 

 Nei primi mesi del dopoguerra, senza semafori e controlli del traffico, gli 8km del Bulevard potevano essere coperti, dalla periferia al centro, in pochissimi minuti. Il percorso notturno poi, senza illuminazione, era, nei pressi degli incroci, una vera "roulette russa". Anche per questo motivo, il coprifuoco alle 22.00, venne mantenuto sino ai primi giorni del 1997.   Farsi beccare comportava per gli "indigeni", passare una notte "al fresco", per gli stranieri, una multa di 50 Marchi.



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Il mercato di Otoka. Famoso per la gran varietà di abbigliamento.


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Una casa distrutta lungo il Bulevard (o Viale dei Cecchini). Siamo nelle vicinanze di Stup, il quartiere cattolico.


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Verso Marijn Dvor lungo il Bulevard. A sinistra la Caserma Tito, dove all’inizio dell’assedio erano barricate le unità dell’ex Esercito Federale (JNA). Poi vi fu posto il comando IFOR/SFOR mentre oggi è sede di Facoltà Universitarie. Più avanti l’Holiday Inn e le due torri UNIS.

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L'interno della Caserma Tito, dove, all'inizio dell'assedio rimasero asserragliate le truppe dell'Armata Federale (JNA). Queste erano formate anche da giovani soldati di leva di ogni nazionalità. Dopo una lunga trattativa si trovò l'accordo per la loro evacuazione dopo aver lasciato tutte le armi. Al momento del ritiro iniziò immediato un bombardamento dalle colline per cercare di distruggere le armi abbandonate mentre alcune unità cadevano in un'imboscata.



Cimiteri

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Cimitero alla base della collina di Kovaci


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Koševo. Il cimitero a fianco dello stadio olimpico (a sinistra). In fondo il padiglione della maternità frequentemente bersagliato.


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Uno dei cimiteri nei pressi dello stadio Koševo.

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Cimitero nel quartiere di Alifakovac. Il nome del quartiere deriverebbe da Alì Fakih, studioso del XV secolo.


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La tomba di Admira e Boško, presso Groblje Lav: il Cimitero del Leone nei pressi del Koševo. I due ragazzi, nati entrambi nel 1968 e morti nel maggio 1993, vennero sepolti insieme dopo la fine dell'assedio. In fuga dalla guerra vennero abbattuti da un cecchino nei pressi del ponte di Vrbanja, rimanendo oltre una settimana abbandonati sulla strada poiché non si riuscì a stipulare una breve tregua. Vennero infine recuperati dai miliziani serbi e sepolti sulle colline.



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La storia di Admira e Boško ha ispirato molti artisti. Il brano "Un Volo d'Amore" pubblicato dagli Stadio nel 1997 è loro dedicato. Il video della canzone è stato girato a Sarajevo.

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Cimitero di Kovaci.

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I cimiteri del Koševo.

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Cimitero del Koševo. Sullo sfondo il Pronto Soccorso dell’ospedale.

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Il cimitero di Bistrik, sormontato dalla Žuta Tabija (Il bastione giallo). Risalente al periodo ottomano era posto alla guardia orientale della città.

Luoghi di Culto

Sarajevo è l’unica città al mondo dove in un raggio di circa 200 metri e 15 minuti di cammino possiamo trovare i simboli di così tante religioni. La Moschea Begova, la Basilica Ortodossa SS Madre di Cristo (1863-1872 in stile Barocco-Bizantino) , la Cattedrale Cattolica del Sacro Cuore (1884-1887) e la Sinagoga; volendo possiamo aggiungervi, per i Protestanti, anche l’ex Chiesa Evangelica oggi Museo. Altri famosi luoghi di culto sono: la Moschea di Ali Pasha, la Moschea dell'Imperatore (Careva), la vecchia chiesa Ortodossa, la Chiesa di San Giuseppe, la Chiesa di Sant'Antonio da Padova e l’antica Sinagoga.

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Moschea Begova


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Cattedrale

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Basilica Ortodossa

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Imam

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Pope Ortodosso

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Sinagoga Askhenazita e museo Ebraico. Edificata nel 1902; non è la Sinagoga storica che si trova nella Baščaršija. La presenza ebraica in Sarajevo data al XVI secolo. La comunità raggiunse nel momento di massimo splendore oltre 10.000 anime; oggi ne restano meno di 1000. Dal 1892 qui operò la Società Ebraica Culturale ed Educativa “Benevolencija” che durante l’assedio offriva pasti, assistenza, primo soccorso e medicinali a chiunque ne facesse richiesta. Gli Ebrei si rifugiarono a Sarajevo dopo che, per mano dell’Inquisizione, nel 1492, con l’Editto di Toledo, furono cacciati dalla Spagna. Essi nutrirono sempre verso l’Islam un sentimento di riconoscenza per l’asilo trovato, per la libertà di professare la propria fede ed esercitare liberamente le loro professioni. A Sarajevo, inoltre, non venne mai istituito un ghetto. L’eredità degli Ebrei fuggiti dall’inquisizione si tramandò fino al XX secolo. Infatti dal Censimento Austroungarico del 1910 risultò che il 13,4% della popolazione di Sarajevo aveva come lingua madre lo spagnolo.

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Baščaršija. L’ora della preghiera.

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Restauri e ricostruzione alla Moschea Begova. Prende il nome da Gazi Husrev-beg (1480–1541). Questi fu il più importante Bey (Signore) bosniaco, universalmente ricordato come il fondatore di Sarajevo avendola trasformata da una Kasaba (piccola cittadina) in una Šeher (capitale).

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Minareto della Begova Džamija.

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Il piccolo cimitero storico della Moschea Begova.

 

 Le tombe sormontate dal turbante sono sepolture maschili ed il tipo di copricapo ne indica il rango. Le sepolture femminili portano invece una decorazione floreale



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Havadže Durak Džamija, comunemente chiamata moschea di Baščaršija. Costruita nel 1528,

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Dobrinija

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Dobrinja. Lukavica Cesta. Il lungo viale che porta verso il sobborgo di Lukavica, in territorio della Republika Srpska. Presso Lukavica era una delle principali caserme della città, immediatamente occupata da Karadzić ed utilizzata come caposaldo dell’assedio. Qui, durante la guerra, era il capolinea dell’autobus per Belgrado. Da qui partivano gli attacchi contro il confinante quartiere-ghetto di Dobrinja, l’aereoporto ed il Monte Igman. Per molto tempo i serbi chiamarono questo quartiere non più Lukavica bensì Sarajevo, considerandolo come l’unica Sarajevo esistente. Oggi il quartiere è territorio della Republika Srpska e Comune di Istočno Sarajevo Источно Сарајево (Sarajevo orientale). Oppure Srpsko Sarajevo -Српско Сарајево (Sarajevo Serba)

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Dobrinja. Lukavica Cesta. In fondo, a poche decine di metri, gli sbarramenti del ceckpoint; limite del territorio controllato dagli uomini di Karadzić. Oggi qui transita il confine tra le due entità in cui è separata la Bosnia Erzegovina: Federacija e Republika Srpska.

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Palazzi di Dobrinja attraversati dal fiume che da il nome al quartiere costruito per alloggiare gli atleti della XIV Olimpiade invernale.

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Sullo sfondo di uno dei tanti palazzi di Dobrinja il Monte Igman (1500 mt.), una delle quattro montagne Olimpiche insieme a Jahorina, Bjelašnica e Trebević. Attraverso la pista dell’Igman tentavano di transitare i convogli in entrata ed uscita da Sarajevo, quando meteo e bombardamenti lo permettevano. Veniva spesso percorsa a piedi ed anche in inverno nonostante una spessa coltre di neve.

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Parcheggio (non custodito) a Dobrinija. Oltre alle mitiche Zastava (prodotte dalla fabbrica di Kragujevac, presso Belgrado, che costruiva con licenza Fiat) l’auto principe a Sarajevo era (e rimane ancor oggi) la Golf. Presso il quartiere di Vogosa vi era infatti una fabbrica Wolksvagen.

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Dobrinja. La trincea utilizzata per raggiungere la fontana del quartiere. La raccolta dell’acqua era un bersaglio favorito di granate e cecchini.

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Dopoguerra

In gran fretta sono svanite le tue speranze

 

ed in cenere sono ridotte le tue ricchezze

 

Povero Popolo Jugoslavo, come ti hanno ingannato!

 

Qualunque cosa avessi scelto, chiunque avessi votato,

 

eri gia stato comunque condannato!

 

Milena Cubraković

 

Belgrado 1994

 

Dopo la fine dell'assedio a Sarajevo furono elencati come distrutti o danneggiati: 63 moschee; 40 masijd; 7 cortili; 4 mausolei; 14 monumenti islamici; 11 chiese cattoliche; 28 monasteri; 5 chiese ortodosse; 3 sinagoghe; 46 tra musei, teatri e ponti, 6 hotel; 60 edifici pubblici; 10 abitazioni di Imam; 127 palazzi pubblici e ville; 8 scuole; 4 parchi

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Skenderija. Studentski Dom (la casa dello studente). Abbattuta, non è stata ricostruita. Skender Pascià fu un Bey del Sangiaccato di Bosnia nel XV secolo.

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Ostello della Gioventù. Dopo i primi mesi di guerra non esistevano più vetri alle finestre. Frantumati dai proiettili o dalle onde d’urto. Erano sostituiti da fogli di plastica o da pesanti incerate trasparenti fornite dall’UNHCR, l’Alto Commissariato ONU per i Rifugiati.

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Una trincea scavata all’interno di un cimitero in periferia.

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La foto riassume lo spirito e l’ironia propri di Sarajevo mai venuti meno anche nei momenti piu bui e che hanno aiutato la città a non soccombere. Il cartello recita:
“VI PREGO! PORTATEMI IN DISCARICA”

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Mezzi IFOR all’interno della Caserma Tito. La IFOR (Implementation FORce) sotto comando NATO, ha iniziato il proprio mandato il 20 dicembre 1995. Compito principale era quello di tradurre in pratica la parte militare degli accordi di pace, che riguardavano il ritiro degli eserciti all'interno della linea inter-etnica, lunga 1.400 chilometri. La IFOR, in quel primo anno del dopoguerra, contava 60.000 soldati. Dopo le prime elezioni nel settembre del 1996, la missione della IFOR era formalmente conclusa, ed il 20 dicembre 1996 ebbe inizio il mandato della Stabilization FORce o SFOR, sottoposta a comando ONU. Compiti della SFOR erano: impedire escalation di ostilità o nuove minacce alla pace, assicurare un clima necessario alla continuazione del processo di pace, appoggiare le strutture della amministrazione civile secondo le possibilità. Gli effettivi sono passati dai 32.000 del 1996 ai 7.000 del 2004. Dal 2004 il controllo è garantito dall’UE presente sul terreno con la EUFOR (EUropean FORce).

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Verso il quartiere Buća Potok, dove è posta la discarica cittadina. Nel dopoguerra in molti vi si recavano a rovistare soprattutto tra le macerie scaricate dai camion della Forza IFOR – SFOR per recuperare materiali utili alla ricostruzione.

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Linea del fronte in periferia

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Tipico “spuntino” di ospitalità. Non è concesso presentarsi in visita senza sottostare ad una vera e propria abbufata di specialità tipiche, a qualsiasi ora del giorno. Pita, burek, baklava poi immancabilmente caffè “tursku” a fiumi e degna conclusione con bicchierino di Rakia (distillato di frutta ad oltre il 60%), liquore nazionale. Qualsiasi rifiuto (anche di una sola portata del “menù”) viene considerato un gravissimo sgarbo. L’unico diniego riconosciuto è quello di fumare.

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