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Grbavica

Il quartiere di Grbavica, a maggioranza serba era la punta più avanzata del fronte all’interno di Sarajevo, dove solamente i pochi metri del fiume Milijacka dividevano le linee. Vi fu tentato più e più volte lo sfondamento definitivo, sempre respinto. Qui l’assedio iniziò ed ebbe termine. Il quartiere fu riconsegnato alla città solamente nel marzo 1996 quando nei giorni appena precedenti venne abbandonato in massa dai serbi e presidiato dai soldati italiani. Ma prima dello sgombero gli appartamenti furono completamente ripuliti estirpando anche i fili elettrici ed i sanitari. Infine, vennero dati alle fiamme.

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Via Topal Osman Paše. Ingresso dal Bulevard. La facciata sud del palazzo di destra (Loris) è crivellata di proiettili e totalmente distrutta. In fondo oltre lo stadio dello Željezničar vi sono le colline del quartiere di Vraca,da dove le artiglierie di Mladić martellavano la città. Topal Osman Pascià fu Governatore della Bosnia nel XIX secolo. Costruì strade, scuole ed ospedali e permise a Cattolici ed Ortodossi di edificare liberamente i propri luoghi di culto

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Facciata di un palazzo. Crivellata da proiettili

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Il palazzo Loris da Via Zvornička

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Grbavica apartmani. Le Torri di Grbavica

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Stadio dello Željezničar (Ferroviere), la seconda squadra della città chiamata popolarmente “Željo”; Fu campione di Jugoslavia nel 1971-1972 e semifinalista sconfitta in coppa UEFA nel 1984-1985. Si racconta che quando perse con gli ungheresi del Videoton (poi sconfitti in finale dal Real Madrid) pianse tutta la Jugoslavia. In questo stadio hanno giocato Haris Škoro (1988-1991 Torino + nazionale Jugoslavo) e Mario Stanić (1996-2000 Parma + nazionale Jugoslavo e Croato). Lo Željo era seguto da una tifoseria "popolare e proletaria", a differenza dei più nobili e titolati cugini della FC Sarajevo.

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Impronta di granata sul marciapiede

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A lato del marciapiede la striscia di cartene raccomanda di non procedere oltre. Nonostante la bonifica sia stata prontamente iniziata, il flagello delle mine inesplose a distanza di anni si presenta ancora come un grave problema. Più nelle campagne che nei centri urbani. Convenzioni internazionali obbligherebbero a mappare ogni campo minato e la posizione degli ordigni, per procedere poi, una volta terminate le ostilità ad un immediato sminamento.

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I grattacieli UNIS di Marijn Dvor visti dalla Scuola Media di Grbavica.

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Anche i cecchini dovevano tenersi in allenamento. L’arma principale utilizzata era l’M76 Zastava, semiautomatico con una gittata di oltre 800 metri. Con una tale portata, nessuno in città poteva considerarsi al sicuro. Vi erano persone non coinvolte nel conflitto che raggiungevano le colline intorno Sarajevo come in un safari per partecipare autonomamente alla caccia, tra questi anche dei campioni di tiro. Lo scrittore russo Eduard Limonov si recò a Pale per incontrare Karadzić e questi, in segno di buona accoglienza, gli offrì di sparare alcuni colpi verso la città con una mitragliatrice Browning. L’episodio è registrato nel documentario del 1992 “Serbian Epics” (di Pawlikowski e Stojanovic). Si vedono i due confabulare dalle colline di Vraca con sullo sfondo l’Holiday Inn.

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Nido di cecchini in un palazzo all’interno del quartiere di Grbavica. La feritoia indica l’appostamento.

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L’appostamento dei cecchini di Grbavica. Vista dall’interno dell’appartamento

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Vista dalla finestra dell’appartamento immediatamente sopra alla postazione. Si può apprezzare il favorevole campo visivo di uno dei più famigerati appostamenti di cecchini di Sarajevo

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Ponte di Vrbanja. Uno dei più sanguinosi luoghi di Sarajevo. Prima della guerra era nominato Ponte dell’Unità e della Fratellanza (Bratstva i Jedinstva). Oggi si chiama Ponte Suada Dilberović ed Olga Susić; le prime vittime di Sarajevo. Inizialmente la prima vittima fu sempre considerata Suada Dilberović (come recita l'antica targa) ed in effetti così è, ma in seguito si decise di considerare come tale anche la Bosniaka Olga Susić, nata nel 1958. Anche lei comunque cadde sul ponte solo l'attimo successivo ed a ragione, può essere considerata la prima vittima Bosniaka dell'assedio. Suada, nata nel 1968, era una studentessa iscritta alla Facoltà di Medicina ed era Croata di Dubrovnik. La scritta sulla targa recita: Kap moje krvi potece i Bosna ne presusi   Una goccia del mio sangue scorre e la Bosnia non inaridirà.

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Il cimitero Ebraico Sefardico (in alto) visto da Grbavica. Fu istituito nel 1630 e non è più attivo dalla II Guerra Mondiale. Posto sulla linea del fronte è stato devastato e minato. Anche da qui partirono i primi spari sulla manifestazione d’aprile.

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Hrasno

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Il palazzo dell’Elektroprivreda. La società pubblica dell’energia elettrica. La forma dell’edificio, posto trasversalmente al corso della Milijacka, vuole ricordare una diga.

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 I grattacieli i Trg Heroija Piazza degli Eroi

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Koševo e Kobilija Glava

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Dalla collina di Betanija. Il cimitero monumentale di Bare alle spalle dei palazzi di Jukiceva.



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Il padiglione maternità dell’ospedale Koševo. Più volte centrato dalle artiglierie. Ogni mattina la Radio dava il nome dei nuoi nati.E’ stato riaperto nella primavera 2011.

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Hrastovi dalla collina di Kovači

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Lo stadio Olimpico Koševo. Durante l’assedio era circondato dai cimiteri. I morti complessivi furono circa 15.000 su una popolazione iniziale di oltre 500.000 abitanti che, al termine dell’assedio era scesa sotto i 350.000.

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La collina del Koševo. In primo piano lo Stadio Olimpico.

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Nel 1978, a sorpresa, Sarajevo e la Jugoslavia sconfissero i giapponesi di Sapporo aggiudicandosi i Giochi Invernali. La votazione terminò 39 a 36 grazie anche ai delegati svedesi che vistisi eliminare Goteborg decisero, nel ballottaggio, di scardinare il compatto blocco occidentale facendo confluire i loro voti su Sarajevo. L’assegnazione riscosse un tale entusiasmo che tutti i cittadini accettarono di buon grado una tassazione straordinaria che aiutò negli anni successivi a portare a termine con straordinaria puntualità il programma delle infrastrutture. Le Olimpiadi furono anche l’occasione per una profonda ristrutturazione e modernizzazione della città.

I Giochi (XIV Zimske Olimpijske Igre) si tennero dall’8 al 16 febbraio 1984 sotto nevicate di proporzioni eccezionali che crearono non pochi problemi a molte discipline. Si ricorda infatti, per gli Azzurri, la conquista dell’Oro (su due totali) nello Slalom Speciale da parte di Paoletta Magoni in mezzo ad un’incredibile bufera.

In questi Giochi la Jugoslavia conquistò la sua prima medaglia Invernale con Jure Franko. Lo slalomista sloveno di Nova Gorica, rimontando dal quarto posto della I manche, salì sul podio alle spalle dello svizzero Max Julen, mancando l’oro per soli 23 centesimi e scatenando entusiasmo nazionale per la storica impresa.

Marijn Dvor

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L’Holiday Inn di Sarajevo realizzato da Ivan Straus. Il progetto voleva richiamare il Caravanserraglio (Caravansaraj), primo insediamento che diede poi vita alla città. Qui, durante l’assedio, risiedeva gran parte dei giornalisti stranieri. Anche da queste finestre i cecchini iniziarono a sparare sulla folla che a migliaia manifestava per la pace e la convivenza. A poche decine di metri, vennero uccise, sul Ponte di Vrbanja, Suada Dilberović ed Olga Susić. L’omicidio di Suada Dilberović, cui venne intitolato il ponte (successivamente anche ad Olga Susić) è ufficialmente, e correttamente, considerato come “l’ora zero” dell’assedio. Vi fu però, in città, una vittima precedente: un invitato di un matrimonio, di nazionalità serba. Di fronte si trova il Museo Nazionale. Nel giardino antistante che si intravede in basso, sono posti gli Stećak ossia lapidi medioevali Bogomili, una setta eretica nata in Bulgaria e perseguitata sia dai Cattolici che dagli Ortodossi. L’arrivo della dominazione ottomana, nel XV secolo, significò la salvezza per questa gente che di buon grado si convertì all’Islam. I Bosniaki sono quindi, correttamente, degli “slavi convertiti” e non Turchi oppure Arabi. L’Holiday Inn di Sarajevo realizzato da Ivan Straus. Il progetto voleva richiamare il Caravanserraglio (Caravansaraj), primo insediamento che diede poi vita alla città. Qui, durante l’assedio, risiedeva gran parte dei giornalisti stranieri. Anche da queste finestre i cecchini iniziarono a sparare sulla folla che a migliaia manifestava per la pace e la convivenza. A poche decine di metri, vennero uccise, sul Ponte di Vrbanja, Suada Dilberović ed Olga Susić. L’omicidio di Suada Dilberović, cui venne intitolato il ponte (successivamente anche ad Olga Susić) è ufficialmente, e correttamente, considerato come “l’ora zero” dell’assedio. Vi fu però, in città, una vittima precedente: un invitato di un matrimonio, di nazionalità serba. Di fronte si trova il Museo Nazionale. Nel giardino antistante che si intravede in basso, sono posti gli Stećak ossia lapidi medioevali Bogomili, una setta eretica nata in Bulgaria e perseguitata sia dai Cattolici che dagli Ortodossi. L’arrivo della dominazione ottomana, nel XV secolo, significò la salvezza per questa gente che di buon grado si convertì all’Islam. I Bosniaki sono quindi, correttamente, degli “slavi convertiti” e non Turchi oppure Arabi.

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Il palazzo Energoinvest. In fondo il quartiere di Pofalići. Pofalići fu una delle prime zone duramente bombardate nel maggio '92. Resta famigerata una intercettazione radio dalla caserma di Lukavica tra il generale Mladić ed un colonnello comandante di batteria posizionato sulle colline di Vraca in cui si parla, appunto, del quartiere, in termini non proprio lusinghieri.

Colonnello           - Continuiamo a bombardare? Quali sono gli ordini?
Mladić                   - Un blocco di 30 granate su Pofalići
Colonnello         - E perche su Pofalići?
Mladić                 - Non avete tirato 3 blocchi sugli altri e lì solamente 1?
Colonnello         - Io veramente colpirei dove abitano pochi serbi
Mladić                 - Obbedite agli ordini. Pofalići e di seguito Velesići. E a    
                                  Velesići bruciate tutto. Poi continuate con Humska e
                                  Djure Djakovic. Non fateli respirare. Mandateli fuori di
                                  testa!!!

L'esatta frase, fu: Razvucite im pamet ovverosia letteralmente "Stirategli/strappategli la mente"

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Holiday Inn e grattacieli UNIS a Marijn Dvor. Salendo a sinistra c’è la Stazione ferroviaria. La foto è presa verso Hrasno all’altezza della Caserma Tito (a sinistra); oggi sede di facoltà universitaria. 

 costruite negli anni ’80 da Ivan Straus e visibili da quasi ogni punto della città, erano il simbolo dell’uguaglianza tra le nazionalità e perciò furono da subito bersaglio dell’artiglieria. Le immagini del rogo delle torri ed il loro scheletro privo delle vetrate sono alcune delle icone universali dell’assedio.


Milijacka

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Dal terrazzo dell’Hotel Nacional (la scuola alberghiera), la riva destra della Milijacka. Sulle colline si intravede l’antenna radio-TV

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La Milijacka dal ponte Šeher Cehajina. Il ponte successivo è il Novi Most. A destra la Biblioteca, a sinistra l’Hotel Naćional sede della Scuola Alberghiera; era l’hotel più a buon mercato di Sarajevo, poiché il servizio era prestato dagli studenti. Vi si poteva soggiornare a prezzi economici.

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Dalla riva sinistra (Isa Beg Isakovic) della Milijacka, la Biblioteca e la collina di Kovaci. La Milijacka è un piccolo fiume ma durante l’assedio era una delle poche riserve di acqua per tutti i vari usi. Ciò ha portato a farlo divenire, negli ultimi tempi dell’assedio una vera e propria cloaca a cielo aperto.

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Verso la città vecchia lungo la Miliacka. In fondo la Biblioteca e la collina di Kovači. Sulla destra il ponte Seher Čehajina risalente al XVI secolo. Prende il nome da un suo restauratore.


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Il ponte Šeher Cehaijna, ultimo ponte sulla Miliacka, e le case di Alifakovac con la moschea Hadžijska. In alto a sinistra si intravede Bijela Tabija, (la Fortezza Bianca), confine orientale di Sarajevo. Nella valle tra le due colline, subito dopo Bembaša si snoda l’antica strada per Istambul.

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Vista dal Ponte Nuovo (Novi Most). In fondo la collina di Kovači e Bijela Tabija; l’ultimo ponte sulla Miliacka Šeher Cehaijna e la Biblioteca (Vijećnica). Il ponte fu costruito nel 1585 da Alija Hafizadic ed ampliato nel 1904

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Ponte Cumurija. risalente al XVI secolo e sostituito in acciaio alla fine del 1800. A sinistra la Facoltà di Legge (Pravni Fakultet). A seguire la Posta ed il Teatro.

Parchi e Giardini

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Sminatori SFOR (in fondo) all’opera lungo Vilsonovo Šetalište. La passeggiata lungo la Miliacka. Tutto il perimetro della città era un lungo campo minato scarsamente segnalato. Prati e terreni si presentavano come zone pericolosissime; il consiglio che si leggeva ovunque raccomandava di non oltrepassare ed evitare di allontanarsi da marciapiedi, pavimentazioni e strade. Il lungofiume è oggi un’isola pedonale dopo le 17.00 e per tutto il weekend.

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Stari Grad, riva sinistra della Milijacka. Il parco di fronte alla Biblioteca. Non ne resta un solo albero.

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Lo zooparco di Pionirska Dolina; il cartello recita: Chiuso per mine. Attenzione.

Stari Grad

Stari Grad, la Città Vecchia è l'area più orientale di Sarajevo, dominata dall'antica Fortezza ed occupata dalla Baščaršija (Basciarscia). Qui era il primo nucleo storico della città ove anticamente venne posto il Caravansaraj (caravanserraglio). E' attraversata dal Fiume Miljacka. Qui si chiude la valle in cui è adagiata Sarajevo e parte quella che era l'antica strada che conduceva ad Istambul

BIBLIOTECA  VIJECNICA

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Biblioteca Nazionale (Vijećnica). Inaugurata nel 1894, è costruita in stile Moresco. Inizialmente sede del Municipio, divenne Biblioteca nel 1945.

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La scalinata centrale della Biblioteca. Conservava un patrimonio inestimabile di cultura. Alcuni testi arabi ed ebraici erano unici al mondo.

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Il colonnato della biblioteca. Qui il tram compie un’inversione di marcia completa, ed attraverso Kovači torna ad ovest verso il capolinea di Ilidža.

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Alle 22.00 del 25 ottobre 1992 dopo un feroce bombardamento si levarono le prime fiamme dall'interno della Biblioteca.

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Chi siamo

Benvenuti nel mio sito web fotografico. Sono un fotografo professionista con molti anni di esperienza. Scatto foto sia presso il mio studio sia sul posto. Dai un'occhiata al mio portfolio per vedere degli esempi del mio lavoro.

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I bibliotecari e tutti i cittadini si prodigarono per trarre dalle fiamme quanti più libri e manoscritti. Ricoverandoli e nascondendoli in case private e cantine.

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Stari Grad, la Città Vecchia è l'area più orientale di Sarajevo, dominata dall'antica Fortezza ed occupata dalla Baščaršija (Basciarscia). Qui era il primo nucleo storico della città ove anticamente venne posto il Caravansaraj (caravanserraglio). E' attraversata dal Fiume Miljacka. Qui si chiude la valle in cui è adagiata Sarajevo e parte quella che era l'antica strada che conduceva ad Istambul

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Riva sinistra della Milijacka, nei pressi della Biblioteca. A sinistra, sul muro l’indicazione “Sklonište” (Rifugio). Sulla destra spunta la cupola della Begova Džamija.

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Ex Chiesa Evangelica. Dal 1972 Accademia di Belle Arti. Data 1898 su progetto dell’Architetto Karlo Parzik. Esempio di eclettismo riunisce in sè elementi Romanici, Gotici e Rinascimentali.

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Verso la Baščaršija (Basciarscia) sulla riva destra della Milijacka. Lungo Obala Kulina Bana. Il Ban Kulin governò la Bosnia a cavallo dei secoli XII - XIII. Il suo regno fu famoso per la prosperità tanto che nei secoli successivi i contadini erano soliti dire, di fronte ad un buon raccolto, "Ritornano i tempi di Kulin" A destra il Ponte Cumurija risalente al XVI secolo e sostituito in acciaio alla fine del 1800.

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Kovači. La linea tramviaria dopo aver effettuato l’inversione attorno la Biblioteca ritorna verso Marijin Dvor, il Boulevard ed i nuovi quartieri.

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Baščaršija. Prote Bakovića.

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Il mercato della Vaša Miskin. Il 27 maggio 1992, il 5 febbraio 1994 ed il 28 agosto 1995 qui vi furono le peggiori stragi dell’assedio che contarono decine di morti e feriti. Le granate colpivano la gente che si aggirava tra i banchi semivuoti. L’ultima carneficina fu quella che provocò la reazione di forza che portò in pochi giorni al termine dell’assedio.

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Oggi nella Vaša Miskin sono arrivate due granate: sulla strada e sul mercato. Abbiamo visto le immagini in TV, una cosa incredibile. Portavano i feriti all'ospedale, sembrava un manicomio. Ad un certo punto hanno iniziato a leggere l'elenco dei morti e dei feriti.

Il diario di Zlata; di Zlata Filipović

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Bembaša con la fortezza Bijela Tabija (1550). Durante l’assedio non fu mai conquistata.

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L'interno dell'Hotel Nacional. Era la sede della Scuola Alberghiera. Poiché vi prestavano servizio gli studenti era l’Hotel più economico di Sarajevo

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Veliki Alifakovac nei pressi del ristorante Inat Kuća (casa dispettosa o casa del capriccio). La storia di questo edificio rispecchia fedelmente il carattere della gente di Sarajevo. Nel XIX secolo era stato disposto che la casa (allora sita sulla sponda opposta del fiume) venisse espropriata ed abbattuta per erigere il nuovo Municipio (oggi la Biblioteca). Il proprietario si oppose appellandosi in tutte le sedi. Perduto cause e ricorsi fu costretto a sgomberare. Non volle comunque darla vinta ad alcuno e perciò smontò completamente la casa trasferendola, pietra su pietra, dall’altro lato del fiume.

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Bembaša con la fortezza Bijela Tabija (1550). Durante l’assedio non fu mai conquistata.

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L’ingresso del Papagajo. Così chiamato per i suoi sgargianti colori gialloverdi è stato un discutibile esperimento architettonico edificato nella zona Austroungarica.

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Bezistan o Mercato Coperto. Risale al XVI secolo sullo stile dei mercati ottomani. All’interno si presenta come un grande viale lungo oltre 100 metri Fu ristrutturato negli anni 70 dall'architetto Enver Jahic.

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Baščaršija. Comunemente chiamata Città Vecchia in turco significa mercato principale (Bas çarsi). Qui fu eretto il caravanserraglio da Isa Beg Isaković che così diede vita al primo nucleo della futura città.

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Bašcaršija. Slatko ćoše (zona dei dolci); più avanti inizia la Ferhadija, zona di passeggio. In fondo una cupola della Basilica Ortodossa.

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Latinski Most / Ponte Latino (già Ponte Gavrilo Princip). E’ il più antico ponte della città, (XVI sec.) in stile ottomano ed originariamente in legno. Si chiama così perché portava al quartiere abitato dai cristiani. La forma attuale risale al 1798. Nei pressi dell’angolo del palazzo di destra, dove è un museo, il nazionalista serbobosniaco, militante della “Mano Nera” Gavrilo Princip ferì a morte l’Arciduca Francesco Ferdinando fornendo all’Austria-Ungheria il pretesto per dichiarare guerra alla Serbia iniziando così la Grande Guerra. Sul muro venne posta una lapide in caratteri cirillici rossi. "Qui il 28 giugno 1914 Gavrilo Princip sparò per esprimere la propria protesta contro una tirannia secolare ed il perenne desiderio dei nostri popoli verso la libertà”. Sul marciapiede vi erano anche due impronte nel cemento che segnavano la sua esatta posizione al momento dello sparo. Oggi vi è una nuova lapide in bosniaco ed inglese che recita. "Qui il 28 giugno 1914 Gavrilo Princip assassinò l’erede al trono austroungarico Francesco Ferdinando e sua moglie Sofia". L’inesperienza dei sette giovani cospiratori aveva inizialmente portato al fallimento dell’attentato, poiché una bomba che venne scagliata mancò il bersaglio. Ma la sfortuna si accanì sui due Principi: il corteo infatti, successivamente, dopo il saluto in Municipio (l’odierna Biblioteca) ripartendo svoltò per errore l’angolo dove si trovava uno sconsolato Princip che esterrefatto si trovò faccia a faccia con l’Arciduca. Dovette quindi solamente tendere il braccio ed esplodere due colpi da distanza ravvicinata. La Mano Nera mirava alla creazione di uno stato panslavo guidato dalla Serbia mentre l’Arciduca era fautore di un nuovo impero tricefalo Austro – Ungarico – Slavo e perciò inviso dai Serbi. Ancor oggi Princip è considerato un eroe in Serbia ed un terrorista in Austria

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Impronte di granate sul selciato delle strade e sui marciapiedi. Il tragitto delle granate segue leggi fisiche e quindi dall’impronta di impatto si deduce con sicurezza il sito di partenza. Ciò perché, circa le maggiori stragi circolava la leggenda metropolitana che, per sollevare lo sdegno e l’intervento della comunità internazionale “ … i Bosniaci si sparavano da soli … “. A supportare la teoria insinuavano vi fosse un tacito accordo con gli USA per un intervento immediato non appena si fosse superato un certo numero di morti. Inchieste internazionali e deposizioni al tribunale dell’Aja hanno confutato totalmente tali teorie che purtuttavia ancora durano a morire, in alcuni ambienti. Dopo la guerra alcuni artisti, a memoria delle stragi, ricoprirono con smalto molte impronte di granate lungo la Città Vecchia.

Tranzit

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Il Boulevard verso Dolac Malta. Il Tranzit è una bretella di circonvallazione ricavata dal vecchio tracciato ferroviario a scartamento ridotto che collegava Sarajevo a Belgrado. Dietro il cartello si intravede il campanile della chiesa di San Giuseppe. Sul cartello stradale si avvisa della presenza di cecchini (snajper). L’attraversamento allo scoperto degli incroci esponeva ad altissimi rischi e la regola raccomandava di “mai attraversare per terzi”; il primo allertava il tiratore, che aggiustava il tiro sul secondo sparando poi sul terzo e cercando di ferirlo solamente. I soccorritori, erano quindi dei facili bersagli. Mentre i militari dovevano essere uccisi, per i civili si ordinava di ferirli possibilmente alle ginocchia o alle gambe. Un invalido, rispetto ad un morto, gravava molto di più sul tessuto sociale.

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Sarajevo dalle colline di Vraca. Qui erano posizionate le artiglierie del Generale Mladić. Sono ben visibili il Parlamento, la Presidenza, le torri UNIS e decine di altri obiettivi sensibili..

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Dalle colline: la facoltà di legge, il palazzo della posta ed il teatro nazionale. A sinistra Pofalici, a destra i palazzi di Ciglane. Nel 1861 a Sarajevo fu spedito il primo telegramma. Il palazzo della Posta venne realizzato nel 1913. All’inizio dell’assedio su di un suo muro comparve la frase (volutamente minacciosa): QUI SIAMO IN SERBIA! Prontamente apparve la replica: QUI SIAMO ALLA POSTA, COGLIONE!

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Tra Centar e Stari Grad. In primo piano, a fianco del verde edificio del Papagajo i quattro torricini della Sinagoga con il Museo Ebraico; poco sopra le inconfondibili “cipolle” della Basilica Ortodossa e poco a destra , la Cattedrale. A fianco di quest’ultima era collocata l’antica Sinagoga. In poche centinaia di metri troviamo i luoghi di culto delle principali religioni monoteistiche.

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Dalla bretella del Tranzit lungo le colline di Vraca: di fronte i quartieri di Mejtaš, Bjelave e Koševo. Dalle colline le artiglierie serbe avevano alla loro mercè ogni angolo di Sarajevo.

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La vecchia stazione di Ilidža, in passato era la principale stazione della città. Oggi è un capolinea del tram. Da questa stazione, in stile alpino, partiva la linea a scartamento ridotto (750 mm) che collegava Sarajevo a Belgrado da dove poi si proseguiva per Sofia, Salonicco ed Istambul. La linea venne costruita dagli Austriaci ed inaugurata nel 1882. Il piccolo treno era amichevolmente chiamato “Ciro”; quando fu dismesso, a Sarajevo molta gente pianse. Oggi parte del suo tracciato è utilizzato dal Tranzit, una circonvallazione sopraelevata che lascia la città dopo la stazione di Bistrik

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